Proseguiamo nel percorso dal digitale alla carta.
In genere abbiamo due possibilità: la prima è che il fotografo abbia esigenza di stampe di alta qualità, e, autonomamente, o appoggiandosi a un piccolo service specializzato in Fine Art, deve preparare dei file che con altissima probabilità verranno stampati in Inkjet; la seconda ipotesi è che invece servano stampe veloci, economiche, di qualità buona ma non critica, e per questo ci si affida a un negozio/laboratorio che quasi sicuramente stamperà con macchine a sublimazione o per carta chimica.
Iniziamo dalla prima ipotesi.
STAMPA INK-JET
Scelta del profilo colore: personalmente consiglio di escludere a priori l'sRGB, e adottare il classico Adobe RGB. Altri profili più ambiziosi (come il Prophoto) al momento non portano benefici, visto che tuttora non esiste alcuna periferica (nemmeno i monitor, figurarsi le stampanti) in grado di gestire al 100% neppure l'Adobe RGB, che pertanto considereremo ampiamente sufficiente per gli scopi che ci proponiamo. Chi scatta in RAW (siamo sicuri che tutti i fotografi esigenti lo facciano), dovrà semplicemente ricordarsi, in fase di esportazione, di settare il profilo prescelto.
Formato di salvataggio: PSD (8 BIT), TIFF (8 BIT), o JPG alla massima qualità, vanno benissimo; profondità di colore maggiori semplicemente non sono gestite.
Dimensionamento del file: le stampanti Inkjet (almeno quanto segue vale per le Epson, ma credo che sia applicabile anche alle altre marche) hanno una risoluzione di stampa nativa di 360 DPI; i file con risoluzione minore vengono automaticamente ricampionati (con algoritmi analoghi a quelli di Photoshop), mentre per quelli con risoluzione maggiore è possibile beneficiare di risoluzioni di stampa più elevate, seppure la tangibilità dell'incremento sia discutibile; con le Epson in genere ci si può essere spingere fino a 2880 DPI, ma secondo molti esagerare non è solo inutile, ma addirittura controproducente: un po' come negli scanner, la miglior nitidezza si ottiene evitando di eccedere nella frequenza dei passaggi della testina.
Ottimizzazione del file: una volta terminata la postproduzione (che sarà stata fatta secondo gusti ed esigenze su un monitor di ottima qualità, ben calibrato con apposito dispositivo), è necessario ottimizzarlo per la stampa; il mio consiglio è quello di creare una copia dei propri file da stampare, senza toccare quelli da archivio; questo perché le esigenze di lavorazione differiscono molto a seconda della destinazione del file. Lo sharpening ottimale, ad esempio, cambia molto a seconda della tecnica di stampa, che questa avvenga su carta opaca o lucida, e così via; inoltre esso va anche calibrato a seconda del formato finale. In genere l'inkjet richiede uno sharpening piuttosto aggressivo, vista la naturale tendenza a "spandere" dell'inchiostro; se si dispone di Software per lo sharpen che abbiano dei preset (come quello del pacchetto NIK dell'esempio qui sotto) si potrà constatare facilmente quanto diversi siano i settaggi a seconda del tipo di destinazione.
In genere abbiamo due possibilità: la prima è che il fotografo abbia esigenza di stampe di alta qualità, e, autonomamente, o appoggiandosi a un piccolo service specializzato in Fine Art, deve preparare dei file che con altissima probabilità verranno stampati in Inkjet; la seconda ipotesi è che invece servano stampe veloci, economiche, di qualità buona ma non critica, e per questo ci si affida a un negozio/laboratorio che quasi sicuramente stamperà con macchine a sublimazione o per carta chimica.
Iniziamo dalla prima ipotesi.
STAMPA INK-JET
Scelta del profilo colore: personalmente consiglio di escludere a priori l'sRGB, e adottare il classico Adobe RGB. Altri profili più ambiziosi (come il Prophoto) al momento non portano benefici, visto che tuttora non esiste alcuna periferica (nemmeno i monitor, figurarsi le stampanti) in grado di gestire al 100% neppure l'Adobe RGB, che pertanto considereremo ampiamente sufficiente per gli scopi che ci proponiamo. Chi scatta in RAW (siamo sicuri che tutti i fotografi esigenti lo facciano), dovrà semplicemente ricordarsi, in fase di esportazione, di settare il profilo prescelto.
Formato di salvataggio: PSD (8 BIT), TIFF (8 BIT), o JPG alla massima qualità, vanno benissimo; profondità di colore maggiori semplicemente non sono gestite.
Dimensionamento del file: le stampanti Inkjet (almeno quanto segue vale per le Epson, ma credo che sia applicabile anche alle altre marche) hanno una risoluzione di stampa nativa di 360 DPI; i file con risoluzione minore vengono automaticamente ricampionati (con algoritmi analoghi a quelli di Photoshop), mentre per quelli con risoluzione maggiore è possibile beneficiare di risoluzioni di stampa più elevate, seppure la tangibilità dell'incremento sia discutibile; con le Epson in genere ci si può essere spingere fino a 2880 DPI, ma secondo molti esagerare non è solo inutile, ma addirittura controproducente: un po' come negli scanner, la miglior nitidezza si ottiene evitando di eccedere nella frequenza dei passaggi della testina.
Ottimizzazione del file: una volta terminata la postproduzione (che sarà stata fatta secondo gusti ed esigenze su un monitor di ottima qualità, ben calibrato con apposito dispositivo), è necessario ottimizzarlo per la stampa; il mio consiglio è quello di creare una copia dei propri file da stampare, senza toccare quelli da archivio; questo perché le esigenze di lavorazione differiscono molto a seconda della destinazione del file. Lo sharpening ottimale, ad esempio, cambia molto a seconda della tecnica di stampa, che questa avvenga su carta opaca o lucida, e così via; inoltre esso va anche calibrato a seconda del formato finale. In genere l'inkjet richiede uno sharpening piuttosto aggressivo, vista la naturale tendenza a "spandere" dell'inchiostro; se si dispone di Software per lo sharpen che abbiano dei preset (come quello del pacchetto NIK dell'esempio qui sotto) si potrà constatare facilmente quanto diversi siano i settaggi a seconda del tipo di destinazione.
Io per una stampa su carta semimatt ad esempio mi comporto come segue: dimensiono il file alla misura di stampa per 360 DPI; duplico il livello e applico una maschera di contrasto di un amount pari a circa 100/200 per un raggio che varia a seconda delle dimensioni di stampa: 0,3/0,5 px può andar bene per un 20x30cm o 30x40cm, per salire fino a 2/3 px nelle gigantografie; concludo fondendo i livelli scegliendo il metodo luminosità, per applicare lo sharpening solo a quest'ultima; altri metodi sono ovviamente validi (luminanza in LAB, Hi Pass, ecc), ma il concetto è comunque quello di avere la mano abbastanza "pesante" e regolarsi in base alle dimensioni di stampa e tipo di carta, oltre che, ovviamente, alle caratteristiche tipiche del file (ci sono macchine, le Sigma con Foveon ne sono un esempio, che richiedono trattamenti molto più delicati).
Ultimo consiglio è quello di evitare, nei file destinati all'Inkjet, di esagerare con i neri; rispetto alla visualizzazione a video è bene calcolare un congruo alleggerimento, specie se andiamo a stampare su carte opache che tendono ad ammassare le sfumature nelle aree scure.
Quanto abbiamo visto finora vale sia che il fotografo stampi in proprio, sia che si rivolga a un service specializzato;
in questo caso non cambia quasi nulla nel workflow, sarà buona norma tuttavia confrontarsi con il tecnico sulle singole procedure, chiarire quali sono i propri gusti, e magari prevedere qualche test di assestamento prima di procedere con tirature cospicue. In molti casi inoltre si può portare il file non preparato, e chiedere che esso venga ottimizzato dallo stampatore, spesso senza che vengano applicati sovrapprezzi.
Le cose sono invece molto diverse per la stampa con mezzi di tipo industriale, ed è su questa eventualità che ora andremo a concentrarci:
STAMPA TRAMITE LABORATORIO INDUSTRIALE
In sintesi estrema: in generale, quando si affidano i propri file a laboratori commerciali, il primo consiglio è quello di toccarli il meno possibile! La maggior parte di queste macchine sono calibrate per ridare un po' di vita a foto che nascono SOOC (straight out of camera), ovvero pallidi JPG, in massima parte ormai provenienti da smartphone, che non hanno ricevuto alcuna cura vitaminica; avremo pertanto settaggi che aggiungono sharpen, saturazione, contrasto generale e locale, ecc. Il risultato è tale che, se noi lavoriamo il file per una buona resa secondo i nostri parametri, otterremo che i nostri interventi andranno a sommarsi a quelli della macchina, con vistose alonature, oversharpening, colori esagerati, e così via. A volte si può chiedere di spuntare la casella "non modificare file", che riduce, ma non elimina (certi settaggi sono di base) i problemi di cui sopra, ma bisognerà vedere caso per caso. E' chiaro comunque che il fotografo esigente non può attendersi dei risultati pienamente soddisfacenti da strumenti nati per rifornire il grande pubblico di stampe a basso prezzo (e in tempi rapidi).
In ogni caso, la procedura migliore è quella di livellare l'istogramma, bilanciare i colori, non applicare assolutamente clarity e sharpening, e, soprattutto... non esagerare con le aspettative!